L’apparecchio telefonico costituisce uno strumento di comunicazione ad uso tendenzialmente esclusivo (“… ma, quella chat non è mia!)

La proprietà dello smartphone e del pc dal cui hard disk sono stati cancellati files aventi ad oggetto materiale pedopornografico inchiodano l’indagato
Sentenza di legittimità Cass.Pen., Sez. III, Ud. 19 novembre 2021, 28 gennaio 2022, n. 3275

In occasione di una perquisizione personale alla ricerca di sostanza stupefacente con sequestro di smartphone, gli inquirenti rinvengono sul cellulare un filmato dal contenuto pedopornografico, inviato dal soggetto indagato ad un’utenza straniera a mezzo l’applicativo WhatsApp.

Estesa quindi la perquisizione agli ambienti domiciliari viene rinvenuto un hard disk su cui, attraverso un accertamento peritale svolto dalla Procura della Repubblica, si individuano le tracce di files multimediali pedopornografici utilizzati e successivamente rimossi dal computer attraverso una sofisticata applicazione di cancellazione denominata “CCleaner”.

Nei giudizi di merito la difesa oppone l’argomentazione dell’utilizzo promiscuo dell’apparecchio telefonico da parte di altri soggetti, senza essere però in grado di fornire dati oggettivi di riscontro a tale prospettazione. La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso e confermare la corretta lettura dei fatti svolta nei due gradi del giudizio di merito, afferma che “l’apparecchio telefonico costituisce uno strumento di comunicazione ad uso tendenzialmente esclusivo”.

Quanto ai contenuti dell’hard disk, l’inequivoca traccia di files pedopornografici cancellati dal computer in epoca antecedente all’installazione dell’applicazione “CCleaner” induce la Corte a confermare la ragionevole conclusione rassegnata dai Giudici del merito, che il ricorrente avesse deciso da un certo momento in poi, di utilizzare tale sofisticata applicazione per evitare di lasciare traccia dei dati che egli deteneva, utilizzava e poi cancellava.

Tra i documenti cancellati e recuperati a seguito dell’attività espletata dal consulente della Procura vi erano proprio i files di contenuto pedopornografico. A rafforzare l’argomentazione svolta dalla Corte ha contribuito anche la circostanza che il soggetto prevenuto risultasse inserito in tre distinte chat di gruppo, nell’ambito delle quali gli utenti si scambiavano analogo materiale pedopornografico

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