No all’anteposizione del cognome paterno a quello materno attribuito all’atto della nascita, in sede di riconoscimento tardivo del figlio nato al di fuori del matrimonio
Corte d’appello di Trieste, 26 gennaio 2021
Il caso portato all’attenzione della Corte d’appello di Trieste è il seguente.
Una coppia non unita in vincolo matrimoniale genera un figlio ma si separa già in corso di gravidanza.
All’atto della nascita il figlio viene riconosciuto dalla sola madre. A due anni dalla nascita il padre chiede all’ex compagna il consenso al riconoscimento del figlio, da effettuarsi ai sensi dell’art.250 c.c.
Rifiutando la madre di dare il proprio consenso, il padre si rivolge al Tribunale di Udine chiedendo, in principalità, la sostituzione del cognome materno con quello paterno e, in subordine, l’anteposizione del cognome paterno a quello materno. L’azione giudiziale, avente ad oggetto anche altri accertamenti (responsabilità genitoriale, affidamento figlio, richieste economiche), si sviluppa nel corso di alcuni anni.
Il Tribunale di Udine rigetta quindi la domanda di sostituire il cognome paterno a quello materno poiché in aperto contrasto con la norma e con l’interesse del minore il quale, sino a quella data, ha portato il solo cognome della madre. Accoglie però la domanda di anteporre il cognome del padre, ritenendo tale scelta maggiormente conforme all’interesse del minore poiché nella trama dei suoi rapporti sociali e personali non ha ancora maturato una formata identità con il cognome materno. Ritiene il Tribunale che l’elemento caratterizzante la personalità del bambino sino a quell’età (6 anni) sia il solo nome di battesimo in quanto utilizzato dalle insegnanti di scuola materna e dagli altri bambini, mentre l’elemento del cognome diverrebbe caratterizzante solo con l’inizio del percorso scolastico dell’obbligo. Ciò in quanto, ad esempio, alla scuola elementare si utilizza la chiamata degli alunni per l’appello con il loro cognome. A quel punto, afferma il Tribunale di Udine, l’anteposizione del matronimico al patronimico potrebbe risultare elemento di disagio per il bambino, ancora troppo piccolo per comprendere perché, a differenza dei suoi coetanei e pur avendo egli un padre, porti come primo cognome quello della madre.
La Corte d’appello sovverte questa lettura e, nell’interpretare l’art.262 c.c. che attribuisce al Giudice il potere-dovere di decidere se fare assumere o meno al minore il cognome del padre e, nel farlo, se ciò debba avvenire “aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo” a quello della madre, decide per “l’aggiunta”.
Ciò in quanto, dalla nascita alla conclusione della lite giudiziaria (il minore aveva ormai 7 anni!), egli si è sempre e solo riconosciuto con il cognome materno sia in famiglia che socialmente. Sin dalla più tenera età ad ogni bambino si insegna a pronunciare il proprio nome e cognome, i bambini frequentano gli asili, i centri vacanza, sono inseriti nella rete parentale, intessono relazioni amicali e frequentazioni con i pari, sicchè può affermarsi che la formazione ed il consolidamento dell’identità personale con un determinato nome e cognome sia certamente già avvenuta all’età di sette anni.
La ratio della norma è quella di garantire l’interesse del figlio a conservare il cognome originario, ove esso sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità.